Studio sui dissesti idrogeologici attivi nell’area della Baia di Portovenere (SP)  finalizzato alla individuazione delle cause e dei possibili interventi di mitigazione

 

1.   Introduzione

2.      Cenni storici e naturalistici

3.      Aspetti geologici e tettonici

4.      Tipologia dei dissesti

5.      Indagini geognostiche e proprietà geotecniche delle rocce

6.      Fattori predisponenti e scatenanti

7.      Analisi di stabilità dei fronti rocciosi

8.      Strategie di mitigazione

9.      Bibliografia

Indice Portovenere

 

1.  Introduzione

La Grotta di Byron ed il Promontorio sui cui sorge la Chiesa di San Pietro, nel Comune di Portovenere (SP), sono fra i casi di studio selezionati tra diversi siti del patrimonio storico culturale su tutto il territorio nazionale nell’ambito del Progetto “Linee guida per la salvaguardia dei Beni Culturali dai rischi naturali”, finanziato dell’ENEA ed in parte coordinato dal Consorzio Civita. Il progetto è peraltro parte delle iniziative dell’IGCP (International Geological Correlation Program) dell’UNESCO (iniziativa 452 – Salvaguardia dei beni culturali dai fenomeni franosi, coordinatore K. Sassa, DPRI Kyoto University).

La ricerca è volta in primo luogo ad analizzare i dissesti idrogeologici attivi nell’area e ad individuare le loro cause, per poi proporre interventi di mitigazione a basso impatto, scelti nel rispetto degli aspetti paesaggistici, storici e culturali del sito.

Il territorio che si estende per circa quindici chilometri da Monterosso al Mare a Portovenere è caratterizzato da un profilo costiero aspro e irregolare, che è stato modellato dall’uomo nel corso dei secoli fino ad ottenere un paesaggio unico. La successione di pendici montuose a picco sul mare, scandite da una serie di terrazzamenti coltivati, le torri, i muri a secco, i sentieri e le scalinate di pietra hanno da sempre esercitato grande fascino sui visitatori e sono stati evocati da poeti romantici e contemporanei, offrendo ispirazione non solo per testi letterari, ma anche per composizioni musicali e rappresentazioni pittoriche. Alcuni dei visitatori, tra cui i Francesco Petrarca, i poeti romantici Lord Byron e Percy Bysshe Shelley e il compositore tedesco Richard Wagner hanno cantato nelle loro opere la singolare bellezza di questi luoghi, consegnandoli di fatto ad una fama eterna.

In questo senso, per le diverse suggestioni che provoca nell’osservatore, il paesaggio di Portovenere si può definire un paesaggio culturale ed è proprio questa la motivazione per cui Portovenere, le Cinque Terre e le Isole di Palmaria, Tino e Tinetto sono stati iscritti dal 1997 nel registro UNESCO dei beni patrimonio mondiale dell’umanità. La riviera di levante costituisce infatti un sito culturale di eccezionale valore, dove l’uomo e la natura sono integrati in un paesaggio unico. Oltre a ciò lo stile di vita tradizionale è conservato intatto da secoli e ancora oggi svolge un ruolo socio-economico di grande importanza nella sussistenza della comunità.

Considerate le valenze culturali del sito di studio, oltre agli aspetti prettamente tecnici di studio dei dissesti in atto, si intende proporre una metodologia di valutazione d’impatto sul paesaggio (VIP) che tenga in considerazione tanto la funzionalità dei necessari interventi di mitigazione dei fenomeni d’instabilità, quanto la conservazione della integrità paesaggistica, nel senso più ampio del termine, del sito. È evidente come i dissesti idrogeologici che minacciano un bene debbano essere sanati, nell’ottica di una corretta gestione del territorio e dei rischi geologici adesso connessi, ma è altrettanto importante tutelare gli aspetti culturali ed evocativi di un paesaggio, regolando in maniera illuminata i processi di mutamento del territorio stesso, siano essi naturali o realizzati dall’uomo.

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2.  Cenni storici e naturalistici

Poco oltre il confine orientale delle Cinque Terre, l’antica Portus Veneris fu fondata dai romani come stazione navale tra Luni e Sestri. Tra i resti che risalgono a quest’epoca, si segnalano le vestigia di una grande villa romana (fine II inizio I secolo a.C.), visibili nella zona del Varignano. Nel 1113 Portovenere fu occupata dai Genovesi. Oggi presenta l’aspetto tipico delle città fortificate, con le sue case dominate dalla mole del castello (originario del XII secolo, ma ricostruito nel XVI). La chiesa parrocchiale di San Lorenzo, edificata nel 1116 e ripresa in epoche successive, presenta una facciata nella quale elementi romanici, come il portale, si uniscono ad altri gotici e rinascimentali. Sul sottile promontorio roccioso dell’Arpaia, proteso sul mare, sorge la chiesa di San Pietro, superbo edificio eretto nel 1277 e costituito da due corpi diversi, il maggiore dei quali sovrastato da un campanile. Nell’interno, in stile gotico, una piccola navata conduce ad una chiesa paleocristiana del V-VI secolo. Di fronte alla costa di Portovenere si trovano le tre isole di Palmaria, Tino e Tinetto, sulle quali sono stati rinvenuti resti di monasteri eretti nei primi secoli del cristianesimo. Palmaria e Tino sono soggette a servitù militare, in quanto vicine alla base navale di La Spezia , sull’altro lato del golfo, e per questo hanno conservato una ricca vegetazione, con leccete, pini d’Aleppo e macchia mediterranea. A questo proposito, fino a mille anni fa il territorio delle Cinque Terre era ricoperto da un unico, immenso bosco spontaneo di leccio, mentre oggi ne restano pochi lembi, confinati lungo il crinale. Le coltivazioni introdotte dall’uomo interessano il 30% del territorio; gli arbusteti il 20%; nella fascia collinare, le pinete a pino marittimo sono il 30%; infine, l’ulteriore 20% e costituito da vegetazione mista naturale, comprendente formazioni a gariga, leccete, boschi di caducifoglie. L’abbandono di vaste aree terrazzate un tempo coltivate ha causato l’invasione di arbusteti o di boschi, con notevole mescolanza di piante e animali. Questi ultimi sono caratteristici delle leccete e delle pinete e comprendono mammiferi di piccola e media taglia, diverse specie di uccelli e numerosi insetti. La fascia litoranea è ricca di ambienti molto diversi tra loro e, sebbene interessata dagli insediamenti umani, offre habitat non disturbati e perciò frequentati da specie di notevole importanza, anche endemiche.

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3.  Aspetti geologici e tettonici

La punta di Portovenere costituisce la parte terminale del promontorio che delimita ad occidente l’ampio Golfo di La Spezia (fig. 1). Il promontorio occidentale è caratterizzato dall’affioramento di terreni appartenenti alla Falda Toscana, che localmente rappresenta l’unità tettonica più profonda della serie, non affiorando alcun lembo dell’unità metamorfica. La Falda Toscana , al di sopra del suo livello di scollamento dal substrato, è costituita da una serie calcarea e calcareo-marnosa-silicea di età giurassico-cretacea, che ben rappresenta l’evoluzione di un margine continentale in progressivo sprofondamento. La serie completa si sviluppa per una potenza di circa 3000 m , con i Calcari di Portovenere a letto e il Macigno a tetto. Dal punto di vista tettonico presenta uno stile di copertura caratterizzato da un comportamento plastico, ben evidenziato da grandi pieghe coricate.

Fig. 1 Localizzazione dell’area in esame

Lo schema tettonico della zona del Golfo di La Spezia vede la presenza di due grandi faglie subparallele con direzione N150 e immersione verso NE. Queste strutture di interesse regionale, si sviluppano per alcune decine di chilometri e interrompono i sistemi plicativi dei due promontori. A queste faglie principali si coniugano sistemi di faglie subparallele, ma di immersione opposta, oltre ad altri fasci di fratture con direzione ortogonale o obliqua, spesso con una componente di moto trascorrente. In tutti i casi è provata la sovraimposizione delle faglie sulle strutture plicative, dovuta ad una fase distensiva più recente. In conseguenza dei diversi eventi deformativi che si sono susseguiti, oltre ad una fissilità generalizzata, più o meno marcata secondo la natura litologica interessata, si sono generati più sistemi di fratture con differenti orientazioni.

Nell’area di studio affiorano i termini triassici costituiti dalla Formazione di La Spezia , a sua volta suddivisa in due membri definiti rispettivamente Calcari e Marne di S. Croce e Calcari di Portovenere (Ciarapica & Passeri, 1980; Ciarapica, 1985).

Calcari e Marne di S. Croce (Norico)
Si presentano con strati alternati di spessore metrico o plurimetrico nella parte bassa, mentre nella parte medio alta gli strati calcarei sono di spessore decimetrico. Le condizioni di deposizione fanno riferimento ad un ambiente marino poco profondo, in un ampio bacino.

Calcari di Portovenere (Retico)
Questa unità si è sedimentata in continuità con la precedente, dalla quale si differenzia essenzialmente per la composizione decisamente carbonatica e la minore quantità di argille. Il litotipo prevalente è costituito da un calcare di colore scuro, a stratificazione sottile o molto sottile, talvolta con interstrati marnosi. A tetto è presente in modo discontinuo un orizzonte di spessore variabile senza una precisa posizione stratigrafica, costituito da dolomia saccaroide di origine secondaria. La dolomitizzazione è ascrivibile a fenomeni incompleti e tardivi.

L’ambiente di deposizione è riconducibile ad una situazione di mare calmo, profondo, in un bacino aperto.

La dorsale che costituisce il promontorio occidentale che delimita a sud ovest il Golfo di La Spezia è costituita da un’estesa anticlinale coricata con asse di direzione media N150 e debole immersione verso NNO, che ripiega i terreni della successione toscana (Giammarino & Giglia, 1990). Nella zona di Portovenere e dell’Isola Palmaria la piega mostra il suo fianco rovescio. Numerose pieghe parassite coassiali accompagnano la struttura principale.

Per quanto riguarda in particolare il promontorio di Portovenere, si può notare come il suo assetto strutturale sia condizionato dalla presenza di un sistema di faglie minori e tardive. Queste faglie sono caratterizzate da relazioni geometriche ambigue e talvolta palesemente contrastanti, cosicché risulta spesso impossibile stabilire con certezza le direzioni di movimento, anche perché è probabile che tali faglie si siano riattivate in tempi diversi con sensi di spostamento anche alternati.

In linea generale, prescindendo dalle incertezze interpretative legate al sistema di faglie minori, è possibile che le fratture soggette a componenti di moto differenziate abbiano avuto come effetto la creazione di diversi blocchi svincolati tra loro e soggetti a movimenti verticali differenziali.

La struttura del promontorio è stata interpretata come un graben delimitato da due faglie probabilmente più antiche della faglia che attraversa il promontorio di San Pietro, ben visibile sul terreno in corrispondenza di un’ampia fascia cataclastica. Questa faglia delimita il bordo occidentale del graben, separando il membro calcareo marnoso dalla dolomia, che rappresenta il lato ribassato.

È certo che, benché l’importanza di queste faglie minori, di limitata estensione e rigetto ridotto sia del tutto trascurabile nei riguardi dell’assetto tettonico e strutturale regionale, esse abbiano giocato un ruolo fondamentale nel determinare l’assetto strutturale del promontorio e quindi costituiscano tutt’ora l’elemento condizionante del comportamento dell’ammasso roccioso.

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4.  Tipologia dei dissesti

Il lato occidentale del promontorio di Portovenere presenta uno stato diffuso di dissesti attivi a carico dell’ammasso roccioso. Questi fenomeni mettono in pericolo la stabilità e l’integrità di alcuni edifici di grande interesse storico e impediscono la piena fruibilità di luoghi di grande attrattiva paesaggistica per il notevole afflusso turistico della zona. A questo proposito è necessario sottolineare come, nonostante l’accesso ai piedi della falesia e alla Grotta di Byron sia vietato da una disposizione della Capitaneria di Porto, l’intera area sia costante meta di visitatori, con una situazione di grave rischio per l’incolumità delle persone.

Per quanto riguarda la tipologia di dissesti, nell’area in esame si possono identificare frane per crollo, per ribaltamento e frane di scivolamento planare. I suddetti fenomeni franosi presentano un forte stato di attività e coinvolgono l’ammasso roccioso sia alla scala dell’affioramento, sia nel suo complesso. Qui di seguito si descrivono le aree più significative e i disesti in atto.

La Grotta di Byron è una cavità del volume di alcune centinaia di metri cubi, soggetta all’azione diretta del moto ondoso, anche per intensità di mare moderato. La volta della cavità presenta evidenti sintomi di instabilità a carico dell’ammasso roccioso che presenta un sistema di fratture ed una giacitura degli strati che favoriscono il distacco di grosse lastre dalla volta. La via di accesso alla grotta è dominata da un fronte roccioso subverticale nel quale non si evidenziano particolari fenomeni di instabilità. Tuttavia, la presenza di una marcata erosione differenziale a carico degli interstrati marnosi, ha creato una parete con un profilo segmentato, dalla quale tendono a staccarsi piccoli blocchi calcarei.

Nell’area circostante il portale in pietra dal quale si accede alla cala, sono stati costruiti alcuni speroni a sostegno del muro in pietrame sovrastante, che attualmente non mostrano segni di dissesto. Al contrario, il piccolo terrazzo lastricato che si trova alla sinistra del portale è interessato da continui crolli, di cui l’ultimo risale alla scorsa stagione autunnale. Il fronte roccioso è caratterizzato dalla presenza di numerosi blocchi disarticolati, anche di notevoli dimensioni, separati da fratture molto aperte.

Una vasta area ai piedi dello sperone roccioso che ospita il Castelletto Vistetta è caratterizzata dalla presenza di un vasto e potente deposito caotico di materiale detritico e di massi di grandi dimensioni, per un volume totale stimabile in alcune migliaia di metri cubi, che dalla quota di circa 15 m s.l.m. arriva sino alla linea di riva.

Alla quota del livello medio del mare, infine, si notano ampie cavità generate dall’erosione ad opera del moto ondoso.

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5.  Indagini geognostiche e proprietà geotecniche delle rocce

Nell’ambito dello studio di fattibilità per il progetto di consolidamento del fronte roccioso del Castelletto Vistetta in San Pietro di Portovenere, commissionato dalla Regione Liguria, sono state condotte approfondite indagini geologiche in superficie e nel sottosuolo, finalizzate alla descrizione ed alla comprensione delle cause dei fenomeni di instabilità che interessano il promontorio e alla individuazione di possibili interventi di mitigazione (Stura et alii, 1999).

La campagna di indagini ha previsto il rilevamento geologico e geomorfologico dell’area in esame, un approfondito rilievo strutturale degli affioramenti più significativi, sondaggi geognostici a carotaggio continuo con prelievo di campioni in seguito analizzati in laboratorio per la determinazione delle proprietà fisiche e meccaniche e, infine, prospezioni geofisiche, in particolare prove sismiche in foro e indagini GPR (Ground Penetrating Radar). 

Rilievi strutturali
Per la definizione dell’assetto strutturale dell’ammasso roccioso che costituisce la parte occidentale del promontorio sono stati eseguiti accurati rilievi degli affioramenti.
In particolare sono stati effettuate le seguenti osservazioni e determinazioni:

-       individuazione dei differenti tipi di discontinuità, ovvero delle famiglie di discontinuità e misure delle loro giaciture;

-       descrizione della morfologia e delle caratteristiche geometriche delle discontinuità;

-       descrizione dello stato di conservazione dei giunti delle discontinuità;

-       osservazioni relative alle condizioni idrogeologiche;

-       misura della resistenza sulla superficie dei giunti mediante misure puntuali con il martello di Schmidt.

L’ammasso roccioso che costituisce il promontorio è caratterizzato da una situazione geologico-strutturale complessa. Gli eventi tettonici che si sono susseguiti nell’area hanno favorito lo sviluppo di un diffuso reticolo di fratture che pervadono l’ammasso roccioso, sovrapponendosi alla stratificazione.
Le giaciture dei piani di discontinuità sono state rilevate sistematicamente al fine di analizzare la loro distribuzione geometrica e quindi valutare l’influenza di tale distribuzione sulla stabilità dell’ammasso roccioso. Oltre allo studio delle orientazioni dei piani di discontinuità, sono stati considerati anche i parametri necessari alla classificazione dell’ammasso roccioso secondo il Rock Mass Rating system (RMR, Beniawski, 1973;1989)
Per valutare quali sistemi di fratture influenzino direttamente la stabilità di ciascuna parete rocciosa, sono state considerate solamente aree omogenee. Le aree prese in considerazione sono:

-         T1 - parete sudoccidentale del promontorio;

-         T2 - parete nordoccidentale del promontorio, sotto il castelletto Vistetta, che comprende la fascia milonitica e lo specchio di faglia;

-         T3 - settore centrale della parete occidentale, sotto il muro di costruzione medievale, dove si osservano i crolli più recenti;

-         T5 - parete occidentale, alla radice del promontorio;

-         T7 - Grotta di Byron;

-         T8 - parete occidentale al di sopra del camminamento che porta alla Grotta di Byron;

-         Zona della faglia.

Analizzando i dati raccolti durante il rilievo geostrutturale, si sono individuate 5 famiglie di giunti che rappresentano altrettanti sistemi di fratture, oltre ai piani costituiti dalla stratificazione (fig. 3).

Classificazione dell’ammasso roccioso
I parametri necessari alla classificazione dell’ammasso roccioso secondo il criterio definito dalla classificazione RMR sono:

-        resistenza alla compressione uniassiale della roccia, determinata in laboratorio tramite prove di compressione monoassiale;

-        il valore di RQD (Rock Quality Designation), calcolato sulle carote recuperate nei sondaggi;

-        la spaziatura delle discontinuità;

-        le condizioni delle discontinuità,

-        la presenza di acqua.

A ciascun parametro viene attribuito un punteggio e la classe di qualità dell’ammasso risulta dalla somma dei singoli punteggi.
In seguito alla classificazione, nell’ammasso roccioso del promontorio si possono distinguere un membro calcareo marnoso, un membro calcareo dolomitico e la fascia di roccia cataclastica.

 

Punteggio massimo

Punteggio minimo

Classe

Calcare marnoso

60

42

Classe III - Qualità Discreta - Mediocre

Calcare dolomitico

60

55

Classe III - Qualità Discreta - Buona

Zona milonitica

47

51

Classe III - Qualità Discreta

Sondaggi geognostici e prospezioni geofisiche
Per ricostruire la stratigrafia del sottosuolo e raccogliere campioni per analisi geotecniche e geomeccaniche, sono stati perforati tre sondaggi a carotaggio continuo con asse verticale. La lunghezza complessiva teorica di perforazione era di 54 m lineari, mentre la lunghezza reale è stata di 46,3 m lineari a causa della presenza di cavità sotterranee di grande ampiezza verticale.
Le prospezioni geofisiche condotte nell’area di studio hanno consistito in prove sismiche in foro secondo le tecniche del cross-hole e del down-hole e in indagini GPR. L’interpretazione integrata delle due metodologie ha permesso di ricostruire le condizioni del substrato.
Le prove sismiche in foro, sia nella configurazione cross-hole (tra coppie di fori adiacenti) sia down-hole (tra superficie e foro) sono state eseguite utilizzando otto fori appositamente realizzati e rivestiti con tubo PVC cementato.
Per quanto riguarda le indagini sismiche, la prospezione non è in grado di evidenziare volumi vuoti, in quanto il valore della velocità risulta mediato. In ogni caso la presenza di anomalie negative di velocità in zone complessivamente caratterizzate da velocità più elevate, possono indicare sia zone di roccia particolarmente alterata e fratturata, sia con vuoti diffusi.
L’indagine tramite GPR viene eseguita in superficie e consiste nel rilevamento delle caratteristiche delle riflessioni di onde elettromagnetiche trasmesse al terreno mediante un’antenna. L’elaborazione dei dati consente la ricostruzione della stratigrafia del terreno secondo profili continui, individuando la presenza di strutture sepolte.
A questo proposito si ricorda che il GPR non è in grado di fornire indicazioni relativamente a strutture sommerse o comunque sotto il livello di falda. Inoltre, l’individuazione di anomalie associabili ad esempio a cavità sotterranee non fornisce informazioni sulle loro dimensioni assolute in quanto il segnale può esser influenzato dall’ampiezza laterale e dalla presenza di cavità sovrapposte a diversa profondità.

L’interpretazione stratigrafica complessiva del promontorio si basa sull’analisi integrata tra i risultati delle indagini dirette e indirette.
L’esame delle carote recuperate nel corso dei sondaggi, conferma quanto visibile a livello di affioramento, ma ha evidenziato alcune significative particolarità.
Nei sondaggi S1 e S2, ubicati ad est della faglia che separa il membro calcareo-marnoso dal membro dolomitico, si rileva la presenza di alternanze costituite da calcare grigio e calcare nerastro. Mentre il primo si presenta sostanzialmente sano o poco alterato, fratturato, con giunti di stratificazione suborizzontali e giunti di fratturazione inclinati o molto inclinati, con spaziatura media di 7- 12 cm , riempiti di calcite ricristallizzata e con patine di ossidazione, il calcare più scuro è invece sempre alterato e presenta piani di discontinuità con giaciture concordi con le precedenti. In corrispondenza dei livelli di calcare scuro, l’indice RQD scende da 60% a valori intorno al 20%, caratteristici di una roccia molto fratturata e debole.
Nel sondaggio S3, effettuato in corrispondenza della fascia di roccia cataclastica che affiora in corrispondenza della faglia, ha rivelato la presenza di una cavità che si estende tra la profondità di 11, 30 m ( 10.02 m s.l.m.) e 19 m ( 2,32 m s. l.m.). A tetto della cavità si trova un calcare dolomitico grigio chiaro, interessato da numerose fratture a giunti chiusi o serrati e da un sistema pervasivo di fratture aperte (massimo 20 mm ), riempite da materiale argilloso. Sono inoltre presenti vuoti e piccole cavità con pareti ricoperte di calcite ricristallizzata.
Le indagini geofisiche, oltre alle strutture dell’ammasso roccioso costituite da stratificazione ondulata, pieghe e faglie, mettono in evidenza la presenza di cavità a profondità comprese tra 2,5 e 15 m . I profili GPR e gli andamenti delle velocità delle onde di taglio e di compressione danno risultati che mostrano una buona concordanza riguardo alla presenza di cavità nel sottosuolo: le aree caratterizzate da bassa velocità si sovrappongono alle aree con presenza di cavità individuate dal radar.
La ricostruzione tomografica tridimensionale, che rappresenta la distribuzione volumetrica delle velocità di trasmissione delle onde, indica la presenza di un corpo roccioso caratterizzato, nel complesso, da velocità più basse nel settore orientale del promontorio, mentre nel settore occidentale si registrano velocità più elevate, con esclusione della fascia anomala interessata dalla faglia. In generale, si può osservare che le velocità delle onde di compressione sono comunque basse (2000-2500 m/s – 1000-1500 m/s)
Per quanto riguarda le cause della formazione delle cavità sotterranee, si ritiene che esse siano dovute a processi di dissoluzione della roccia carbonatica e dolomitica ad opera delle acque circolanti nei reticoli di fratture. Tali fenomeni sono quindi da ascrivere a fenomeni carsici poco sviluppati, limitati alla formazione di strutture minori.

 

Analisi di laboratorio, prove geotecniche e geomeccaniche
Le prove geotecniche e geomeccaniche di laboratorio sono state eseguite per ricavare i parametri di resistenza della roccia integra. In particolare le prove hanno riguardato alcuni provini ricavati da spezzoni di carote rappresentativi dei litotipi presenti nell’area.

Le prove di laboratorio sono consistite in:

-         determinazione del peso di volume della roccia;

-         compressione uniassiale per la determinazione della resistenza della roccia integra;

-         determinazione della velocità di propagazione delle onde di compressione;

-         prove di taglio dirette sui giunti di discontinuità;

-         frazione argillosa, limiti di Atterberg e parametri di resistenza del materiale argilloso di riempimento delle fratture.

Per quanto riguarda le caratteristiche fisiche e geomeccaniche della roccia, il peso di volume varia tra 25,82 kN/m3 e 27, 26 kN/m3 e le misure di velocità sonica, che è funzione della composizione mineralogica della roccia e dello stato di fessurazione, hanno dato valori tra 3500 m/s e 6000 m/s. Il valore inferiore indica una roccia molto fessurata, mentre quello più alto è tipico di rocce moderatamente fessurate.
La resistenza a compressione uniassiale dei provini di rocce prelevati nel corso dei sondaggi ha fornito risultati che variano tra 114,62 MPa nel caso di roccia calcarea, 71,17 MPa per il calcare dolomitizzato, 40,82 MPa per il calcare marnoso, 17,04 MPa per il calcare dolomitizzato della fascia milonitica.
La prova di resistenza al taglio su di un giunto aperto in un campione di calcare marnoso che può essere considerato rappresentativo, ha dato valori di angolo di attrito interno che varia tra 20° e 30,7° a seconda della tensione normale applicata.
È stata eseguita anche una prova di taglio sul materiale argilloso di riempimento dei giunti, un’argilla caolinitica non attiva e di plasticità medio-alta; il valore dell’angolo di attrito interno dell’argilla rimaneggiata è risultato di 25,5°. La prova di taglio su di un giunto riempito di argilla essiccata ha dato valori di angolo di attrito interno pari a 33,8°.

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6.  Fattori predisponenti e scatenanti

La costa che da Portovenere porta alle Cinque Terre è soggetta a fenomeni di erosione che si evidenziano localmente in crolli di roccia dalle pareti verticali. La progressiva demolizione delle falesie deriva dai processi di disgregazione e alterazione meteorici, che tendono ad accentuare le fessurazioni presenti nell’ammasso roccioso, unitamente alle azioni di cavitazione e abrasione ad opera dei frangenti di costa che scavano un solco di battente in corrispondenza al livello medio del mare (Panizza, 1992), che evolve poi in crolli della parete sovrastante.

Nel caso in esame, i diffusi fenomeni di dissesto in atto o potenziali, sono certamente intensificati dalla presenza concomitante di diversi fattori predisponenti.
Il primo fattore di instabilità è da ricondurre all’assetto strutturale del promontorio, determinato dall’evoluzione tettonica dell’area sia nella fase dell’orogenesi appenninica, sia nelle fasi di deformazione tardiva. Le differenti famiglie costituite dai giunti di strato e dai sistemi di fratture che si intersecano con angoli diversi, determinano un complesso reticolo di discontinuità che, insieme alla giacitura delle pareti rocciose, provoca la creazione di condizioni geometriche tali da favorire il verificarsi di diversi fenomeni di instabilità.

Oltre a ciò, si deve considerare che nel promontorio affiora una facies marnoso-argillosa dei Calcari di Portovenere che risulta strutturalmente più debole di quella più francamente calcarea. Questa situazione favorisce l’instaurarsi di fenomeni di erosione selettiva che, nelle aree più fittamente stratificate, genera un profilo discontinuo nelle pareti rocciose. Gli strati calcarei fratturati risultano spesso pensili e quindi soggetti a crolli e ribaltamenti di blocchi di dimensioni diverse.

A questa situazione strutturale si aggiungono particolari condizioni ambientali e atmosferiche. Infatti, l’azione delle onde e dello spray marino accelerano la disgregazione dell’ammasso roccioso, tanto alla scala della parete rocciosa, con fenomeni di scalzamento al piede e arretramento della falesia, quanto alla scala dell’affioramento, per l’instaurarsi di fenomeni di degradazione chimica e fisica delle rocce.
Per quanto riguarda le condizioni al contorno, si possono fare alcune considerazioni a proposito del clima meteo marino locale.
La penisola della punta di San Pietro è situata all’estremità della costa rocciosa che delimita a Ovest il golfo di La Spezia. La dorsale principale si protende verso l’Isola Palmaria secondo un angolo di 210° N e delimita l’imboccatura dello stretto denominato le Bocche, attraverso il quale si accede alla Baia di Portovenere da libeccio. La Cala Arpaia , il cui apice è noto come Grotta di Byron, è delimitata da uno sperone roccioso che si estende parallelo alla costa retrostante per circa un centinaio di metri. La cala è esposta direttamente ai mari del 4° quadrante (285° - 315° Nord) ma subisce sollecitazioni ondose secondarie più severe dai mari del 3° quadrante (210° - 240° Nord).
La propagazione dei moti ondosi secondari nella Cala Arpaia genera infatti un’onda trasversale che incide perpendicolarmente sulla penisola, tra la Grotta di Byron e l’estremità di S. Pietro, in una zona che solo apparentemente è protetta dalle fenomenologie ondose. Gli effetti di questa onda, la cui altezza può raggiungere e superare quella delle onde incidenti, non sono quindi trascurabili.
In particolare, l’azione dei mari diretti genera un’azione d’urto che è stata in parte smorzata dal frangimento delle onde sul fondale antistante, che presenta pendenze dell’ordine del 12% nella direzione delle onde stesse; l’azione dei mari indiretti, invece, per effetto combinato di diffrazione e riflessione, causa escursioni di livello e spinte a quote anche elevate in fase di cresta e che, in certi casi, possono scoprire il piede della falesia in fase di cavo.
Le azione ondose meccaniche di martellamento provocano degli shock impulsivi tendono quindi ad aumentare il numero e l’estensione delle fratture all’interno dell’ammasso roccioso, mentre le azioni idrauliche che provocano le variazioni del livello del mare sopra e sotto la quota media, favoriscono il distacco di blocchi fratturati.

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7.  Analisi di stabilità dei fronti rocciosi

Dopo avere individuato la presenza di diverse famiglie di piani di discontinuità (Fig. 2), si sono considerati i diversi meccanismi di rottura che possono interessare l’ammasso roccioso. I modelli cinematici considerati sono lo scivolamento lungo un piano, lo scivolamento di un cuneo di roccia generato dalla intersezione di due piani di discontinuità e il ribaltamento. L’analisi dei dati strutturali mediante il reticolo stereografico equiareale è finalizzata alla individuazione dei possibili fenomeni di instabilità e, in seguito, al dimensionamento delle opere di mitigazione di tali fenomeni.
L’analisi di stabilità dei fronti rocciosi è stata condotta sulle sei zone omogenee precedentemente individuate e nella zona di faglia. L’angolo di attrito dei giunti è stato posto a 20°, valore calcolato in laboratorio su provini rappresentativi delle condizioni medie di scabrezza dei giunti presenti nell’ammasso.
Vista la complessità strutturale dell’area in esame, dall’analisi cinematica sono risultati possibili diversi meccanismi di rottura. Dall’esame dei reticoli stereografici è inoltre possibile dare una stima qualitativa del livello di pericolosità.

ZONA

Ribaltamento

Livello di pericolosità

Scivolamento planare

Livello di pericolosità

Cuneo

T1

si

basso

si

alto

Si

T2

si

moderato

no

 

Si

T3

si

alto

si

moderato

Si

T5

si

alto

si

alto

Si

T7

si

moderato

si

basso

No

T8

si

basso

no

 

No

F1

si

alto

si

basso

No

        Fig. 2: rappresentazione delle famiglie di discontinuità rilevate nel Promontorio di San Pietro  

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8.  Strategie di mitigazione

Progetto funzionale

In considerazione dei fattori predisponenti e scatenanti i diffusi fenomeni di instabilità che interessano l’area di studio, le tipologie di intervento possibili sono il consolidamento del fronte roccioso e/o la protezione della Cala Arpaia dal moto ondoso.
Nello studio di fattibilità della Regione Liguria (Stura et alii, 1999) si prevede di procedere esclusivamente al consolidamento dell’ammasso roccioso, giudicando un intervento marittimo di difesa troppo gravoso sia dal punto di vista dei costi, sia dal punto di vista dell’impatto visivo.
Per il consolidamento del promontorio sono state previste due fasi: la prima avrà come scopo la riapertura al pubblico di parte della passeggiata attualmente interdetta per ragioni di sicurezza, nonché il consolidamento della parte sommitale della parete rocciosa del promontorio. La seconda fase prevede il consolidamento profondo dell’ammasso roccioso, con particolare riferimento alle cavità sotterranee.

Tipologie di intervento

Disgaggio di blocchi instabili

Il disgaggio consiste nel provocare il distacco e la caduta di blocchi di roccia instabile in condizioni controllate. Tale intervento sarà effettuato a carico di quei blocchi che non saranno considerati da consolidare, ovvero in aree nelle quali la conservazione dell’assetto attuale non è ritenuta fondamentale nell’ottica della tutela del paesaggio. Per quanto riguarda i detriti risultanti, il progetto prevede la loro collocazione nell’area occupata dal detrito di frana in corrispondenza del piano di faglia, in considerazione della modesta volumetria e della limitata variazione dell’assetto attuale della cala. Inoltre, si prevede di utilizzare parte del materiale ottenuto dal disgaggio come inerte di roccia locale o lastre di rivestimento in pietra naturale.

Riempimento con malta cementizia di interstrati erosi e di cavità sul fronte roccioso  
Per limitare il crollo di blocchi calcarei aggettanti, il progetto prevede il riempimento periodico con malta cementizia degli interstrati argillosi interessati da fenomeni di erosione differenziale.
Tramite il rivestimento della malta usata per il consolidamento con malta pigmentata da ossidi s’intende limitare l’impatto visivo dell’intervento.

Barre, tiranti, chiodature, sottomurazioni e paratie di micropali
In situazioni particolari, come ad esempio nel caso della volta della Grotta di Byron, nel progetto si prevede l’utilizzo di barre iniettate con malta cementizia prive di testata, alloggiate in fori che saranno in seguito occultati con malte pigmentate. Oltre a ciò sono previsti tiranti subverticali dotati di testata con piastra, che dovrebbe essere trattata con coloranti che ne limitino l’impatto visivo.

Il tratto di fronte roccioso adiacente alla grotta sarà consolidato in via preventiva tramite una paratia di micropali dal piano piazzale, eventualmente uniti da un cordolo in cemento armato poi ricoperto di pietra naturale. Oltre a ciò, per assicurare la stabilità del piazzale e del fronte roccioso alla base del castelletto, si prevede di realizzare una serie di tiranti presollecitati, con testata occultata.
Le cavità accessibili dal mare dovrebbero essere sottomurate, e di fronte ad esse saranno collocate delle berme in pietrame con lo scopo di limitare l’impatto del moto ondoso, con l’accorgimento di utilizzare per la parte superficiale delle berme del materiale con caratteristiche cromatiche analoghe alla roccia in posto. Per quanto riguarda la sistemazione del crollo più recente, in prossimità dell’accesso al mare, il progetto propone la realizzazione di un muro di cemento armato, ricoperto con blocchi di pietra naturale. 

Progetto sostenibile e valutazione di impatto sul paesaggio (VIP)
Sulla base del progetto della Regione Liguria che prevede il consolidamento del fronte roccioso del promontorio di San Pietro, sono state valutate le caratteristiche di quello che può essere definito il “progetto funzionale” in rapporto al “progetto sostenibile”.
Nel caso di interventi in luoghi di particolare pregio, che fanno parte del patrimonio artistico e culturale non solo italiano, ma mondiale, non si devono considerare solo la fattibilità e la riuscita tecnica dell’intervento stesso, ma anche il suo impatto sul paesaggio inteso nel senso più ampio del termine, ovvero sul quel “paesaggio culturale”, che trae la sua valenza dalla compenetrazione di aspetti naturali e di suggestioni culturali. Infatti, oltre agli aspetti puramente estetici, si affiancano connotazioni percettive profondamente individuali, che derivano da concezioni apprese in passato, nonché dallo stato mentale di chi si trova di fronte al paesaggio: oltre al concetto di paesaggio culturale, quindi, si deve considerare l’idea di paesaggio della percezione, in cui tutti i sensi, oltre all’intelligenza, alla memoria e ai sentimenti, sono coinvolti.

Un paesaggio come quello del Golfo di Portovenere, ad esempio, ha offerto motivo di ispirazione
per poeti, artisti, musicisti ed è per chiunque lo osservi fonte di emozioni, di arricchimento e di conforto. Il concetto di sostenibilità di qualsiasi intervento a suo carico si riferisce alla tutela della sua integrità, non soltanto dal punto di vista meramente ambientale. In questo senso, la tutela non è sinonimo di cristallizzazione, soprattutto nel caso in cui il bene in questione sia minacciato da fenomeni di instabilità: essa va intesa come la capacità di ottenere un controllo sul mutamento del territorio, tanto nelle sue connotazioni naturali quanto in quelle procurate dall’uomo.
A questo proposito si intende aprire la strada ad una nuova forma di valutazione di impatto di un intervento, non sull’ambiente in senso lato, ma in particolare sul paesaggio: non solo Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) quindi, ma Valutazione di Impatto sul Paesaggio (VIP).

Un aspetto da sottolineare e la sostanziale differenza tra impatto visivo in senso stretto ed impatto paesaggistico. L’impatto visivo può essere definito come il grado di percezione, da parte di un osservatore, di un insediamento industriale o abitativo o delle modifiche, in genere, apportate dall’intervento umano su un determinato territorio. Il grado dell’impatto visivo dipende da molteplici fattori, come la difficoltà del preesistente ad accogliere i nuovi elementi, oppure, al contrario, la sua capacità ad integrarsi con essi, nonché dalle caratteristiche dei nuovi elementi stessi. Ma l’impatto sul paesaggio culturale integrato non è solamente visivo in senso stretto, perché un intervento può incidere anche sulla sfera emotiva, che va certamente oltre quella visiva.
Se si considerano unicamente gli impatti visivi, ovvero si utilizza un ottica unidimensionale, la mitigazione degli impatti e le scelte progettuali avranno come finalità la mascheratura dell’opera e, in particolare, la cura nella scelta dei materiali costruttivi e dei colori. In tal modo si restringe la concezione di paesaggio al mero aspetto visibile, concentrando l’attenzione sul modo di apparire del sito prima e dopo gli interventi e sui cambiamenti osservabili dai punti e dai percorsi a più alta sensibilità e sulle ripercussioni che tali cambiamenti generano sugli osservatori.

Se però l’intervento viene pensato direttamente in fase progettuale in tutte le sue connotazioni, non si vanno a considerare solo le possibili vie per nascondere l’inserimento dell’opera nel suo contesto, ma si può pensare un design che mantenga una stretta continuità con l’esistente. In questo senso un attento monitoraggio dell’insieme opera-paesaggio assolve alla funzione di controllare sì l’efficacia delle mitigazioni, ma anche di seguire l’evoluzione nel tempo del paesaggio stesso, eventualmente introducendo progressivi adattamenti.

Dal punto di vista metodologico, per comprendere i possibili impatti di un’opera sul contesto paesaggistico, si deve in primo luogo definire il concetto di paesaggio: esistono innumerevoli concezioni e una grande varietà di orientamenti teorici utilizzati nelle diverse discipline per una sua definizione e descrizione. L’approccio più semplice è quello che deriva dalla nozione che il paesaggio è l’aspetto visibile del mondo che ci circonda, che presenta diversi valori formali ed emergenze storiche, culturali e naturalistiche che ne fanno un bene culturale ed ambientale complesso. Una concezione di paesaggio transdisciplinare integra infatti tutte le fondamentali dimensioni in esso presenti, quelle culturali, formali ed ecologiche.

Una volta acquisito il concetto di paesaggio integrato, si deve procedere all’analisi del paesaggio ante operam e post operam. L’approccio da utilizzare deve essere geografico nella lettura dei caratteri oggettivi del paesaggio e della sua evoluzione, ma anche percettivo, ovvero teso ad individuare le sensazioni che il paesaggio provoca nell’osservatore. L’analisi d’impatto visivo deve essere effettuata sulla base del progetto di massima o esecutivo dell’intervento, sia relativamente alle opere architettoniche ed ai manufatti che lo contraddistinguono, sia relativamente alle modificazioni ed alle sistemazioni ambientali che ne fanno parte integrante. L’analisi deve riguardare i caratteri dimensionali, formali, distributivi e quantitativi dell’intervento, gli aspetti cromatici e la valutazione delle condizioni d’adattamento o di contrasto con il paesaggio e l’ambiente circostante. La descrizione dovrà anche indicare le strategie di minimizzazione e di compensazione previste per la mitigazione dell’impatto visivo e ambientale nel suo complesso.
Sotto il profilo metodologico si potrà procedere attraverso le seguenti fasi:

-         Definizione e descrizione dell’ambito visivo del progetto ed analisi delle condizioni visuali esistenti;

-         Identificazione delle vedute-chiave, ovvero significative o determinanti perla valutazione d’impatto;

-         Simulazione degli effetti dell’intervento proposto nel paesaggio (impatti visuali);

-         Definizione ed analisi degli impatti visuali nel paesaggio naturale ed umano;

-         Descrizione delle misure previste per l’eliminazione dei possibili effetti negativi e, se ineliminabili, per minimizzare l’impatto;

Uno strumento utile alla definizione dei caratteri percettivi del paesaggio interessato dall’intervento è una Carta delle unità di paesaggio definite in base ai caratteri delle componenti naturali (geomorfologia, vegetazione, corpi idrici, ecc.) e umane (paesaggi costruiti) nella quale siano documentati i confini e margini delle unità di paesaggio, i corpi idrici superficiali e reti di drenaggio, i geositi o biotopi di rilevante interesse le forme d’uso del suolo, i beni d’interesse storico-artistico ed archeologico, architetture tipiche o tradizionali, contesti di archeologia industriale e rurale e infrastrutture principali (viarie, ferroviarie ecc.).
Le modalità di percezione possibili possono essere descritte da una Carta delle condizioni visuali e percettive attuali che costituisce uno strumento di sintesi di grande utilità sia nella fase di progettazione sia in quella di valutazione della compatibilità paesaggistica dell’intervento.
In tale carta dovranno essere indicati:

–   la localizzazione dell’intervento;

–   il limite dell’area d’intervisibilità e il raggio di visibilità in funzione della scala adottata;

– i “capisaldi” di riferimento paesaggistico, ovvero i punti di vista del luogo dell’intervento o dal luogo d’intervento particolarmente significativi;

–   gli elementi “minori” del paesaggio significativi per l’esperienza visiva;

–   le vedute principali ed i relativi angoli visuali;

–   gli ostacoli visuali;

–   i crinali fisici;

– le infrastrutture viarie e ferroviarie, le piazze, le vie, i percorsi significativi in relazione all'impatto visivo generato dall’intervento;

–   i limiti delle aree edificate, di quelle con vegetazione, di quelle agricole o degli specchi d’acqua ecc..  La definizione e la descrizione dello spazio visivo del progetto e l’analisi delle condizioni visuali può essere illustrata mediante una Carta dell’intervisibilità in scala adeguata. La Carta deve essere elaborata in base a dati plano-altimetrici ed a rilevamenti e controlli condotti per punti significativi o profili topografici, prescindendo dall’effetto di occlusione visiva della vegetazione, in modo che il risultato non sia legato a fattori stagionali o contingenti.

Dall’insieme dei dati così analizzati si dovrà poi desumere una valutazione complessiva che consenta di fornire indicazioni sulla compatibilità dell’intervento in relazione alle caratteristiche del contesto naturale ed umano in cui si colloca. Il grado di compatibilità dovrà essere valutato in relazione al fattore sensibilità del paesaggio che potrà essere determinato facendo riferimento alle qualità naturali, agli elementi caratteristici del paesaggio storico ed agli elementi d’interesse architettonico ed archeologico.
Il giudizio dovrà essere relativo sia all’impatto visivo in sé, sia al contesto in cui andrà ad inserirsi, ed anche alla stessa capacità propria del paesaggio di schermare o assorbire le modificazioni che si vogliono introdurre.
Una stima del contrasto visivo tra opera e paesaggio (Bruzzi, 1999) può essere ottenuta utilizzando una semplice matrice:

 

Acqua/Terra

Vegetazione

Struttura

Grado di Contrasto

F

M

D

N

F

M

D

N

F

M

D

N

Forma

 

 

 

Disegno

 

 

 

Colore

 

 

 

Tessitura

 

 

 

                         

                     F = forte; M = medio; D = debole; N = nullo.

 

I punti di vista:

Il primo piano (0-10m)

La piccola distanza (10-400/600m)

La media distanza (600-4000/6000m)

La grande distanza (oltre i 4000/6000m) o vista infinita

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9.  Bibliografia

Bruzzi L. (1999).

Ciarapica G. (1985). Il Trias dell’Unità di Portovenere e confronti con le coeve successioni apuane e toscane: revisione degli “strati a R. contorta” Auctt. dell’Appennino settentrionale. Mem: Soc. Geol. It., 30, 135-151.

Ciarapica G. & Passeri L. (1980). La litostratigrafia della Serie triassica del promontorio occidentale del Golfo di La S pezia. Mem: Soc. Geol. It., 21, 51-61.

Giammarino S & Giglia G. (1990). Gli elementi strutturali della piega di La Spezia nel contesto geodinamico dell’Appennino settentrionale. Boll. Soc. Geol. It., 109, 683-692.

Stura S., Brizzolara E., Baracco C. & Pelli F. (1999). Studio di fattibilità per il consolidamento del fronte roccioso del Castelletto Vistetta in S. Pietro di Portovenere. Regione Liguria.

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   Indice Portovenere

 

 

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